Un annunzio instancabile dei valori evangelici

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Mons. Angelo Cardinale Amato, SDB – ECCLESIA –
Il pastore è chiamato a riproporre Gesù Cristo e il suo Vangelo di vita e di gioia, riannunciando senza sosta la sua proposta di felicità e di comunione.
Volentieri ho accolto l’invito del Vicario Generale, Mons. Pompilio Cristino, a partecipare alla festa dell’arcidiocesi, per il 25° anniversario di ordinazione episcopale di Sua Eccellenza Mons. Andrea Mugione.
È questo un incontro di preghiera nel quale la famiglia presbiterale si riunisce attorno alla mensa eucaristica per manifestare un grazie riconoscente al Signore per il dono di un Vescovo buono e saggio, che guida con grande carità pastorale questa storica Arcidiocesi, che ha sempre annoverato tra i suoi pastori personalità di spicco per dottrina e per santità. Proprio recentemente, si è dato ulteriore impulso alla causa di beatificazione del pontefice Benedetto XIII, Orsini, che anche da Papa mantenne la direzione della chiesa beneventana.
Le letture della liturgia della Parola ci danno alcuni spunti di riflessione, che si possono concentrare in due messaggi che riguardano i pastori d’anime, sia vescovi sia sacerdoti, come protagonisti di una evangelizzazione senza frontiere e come guide affidabili del popolo di Dio.
Gli Atti degli Apostoli narrano che l’apostolo Pietro, salendo a Gerusalemme, fu rimproverato dai fedeli circoncisi perché, a Cesarea, era entrato in casa di pagani e aveva mangiato con loro (At 11,1-18).
L’uomo – che in realtà è il centurione romano Cornelio, con tutta la sua famiglia – racconta che un angelo gli aveva ordinato di mandare a chiamare Pietro perché gli avrebbe detto cose per le quali sarebbe stato salvato con tutta la famiglia. Pietro aveva appena cominciato a parlare che lo Spirito Santo era disceso su di loro.
Anche i pagani, quindi, avevano sperimentato la pentecoste, il dono dello Spirito. E Pietro conclude: «Se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che ha dato a noi, per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?». E così coloro che lo avevano rimproverato si calmarono, dicendo: «Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita!».
Si può notare come in questo episodio non sia tanto Pietro il protagonista, ma lo Spirito Santo, che guida passo passo l’apostolo. Il Cristo risorto, mediante il suo Spirito di verità e di vita, aveva così aperto a Pietro e ai dodici gli orizzonti sconfinati della missio ad gentes. Si era verificato una sorta di secondo passaggio del Mar Rosso. La Chiesa si era in un certo senso liberata dai legami della tradizione giudaica, era uscita dagli angusti confini della Palestina per avventurarsi nei vasti oceani del mondo pagano alla conquista delle anime da evangelizzare e salvare.
Tutti gli uomini, infatti – nota al riguardo Beda il Venerabile – sono ugualmente chiamati al Vangelo di Cristo e nessuno è contaminato per natura. San Giovanni Crisostomo, dal canto suo, osserva che se Pietro fosse partito di propria iniziativa, non ci sarebbe stata nessuna discesa dello Spirito Santo. La saggezza di Pietro è consistita nel non porre impedimento all’azione dello Spirito, che dà a tutti, battezzati e non, lo stesso dono.
Il racconto di Pietro soddisfa pienamente i giudeo-cristiani di Gerusalemme, i quali «glorificarono Dio perché aveva concesso loro un cambiamento di mentalità».
Si può rilevare che l’apertura della primitiva comunità cristiana ai pagani non avviene mediante una rottura con la chiesa di Gerusalemme, ma in continuità e in armonia con essa.
I pastori oggi sono più che mai consapevoli che occorre riproporre sempre di nuovo l’entusiasmo missionario dei primi cristiani, testimoni e annunziatori tenaci e coraggiosi del Vangelo nel mondo fino al sacrificio della vita.

Dalla pagina evangelica possiamo raccogliere un secondo insegnamento (cf. Gv 10,1-10). Gesù si attribuisce due titoli: pastore del gregge e porta di salvezza.
È chiara la risonanza di questo insegnamento per vescovi e sacerdoti oggi.

Il cristianesimo non è un codice di precetti limitativi, ma è un sì alla persona di Gesù Cristo, che, nel suo mistero salvifico di morte e risurrezione, ha risposto alla morte con la vita, al male col bene, al peccato col perdono, alla disperazione con la speranza, alla solitudine con la comunione, alla tristezza con la gioia, alla paura con la serenità di chi sa di essere figlio di un Padre misericordioso, che non abbandona mai le sue creature.
È questa l’originalità cristiana che tanto affascina il mondo quando viene testimoniata con semplicità e umiltà dai Santi ma anche dai battezzati, ad esempio, dal Papa, come sta facendo Papa Francesco in questi nostri giorni, dai Vescovi, dai sacerdoti, dai consacrati, dai fedeli laici: «Tale sublimità di vita – scriveva San Roberto Bellarmino a suo nipote divenuto Vescovo – ci è stata insegnata da Cristo col suo esempio, il quale, come riferisce Lc 21,37, consumava tutti i suoi giorni nella carità verso il prossimo, insegnando, esortando, sollecitando al bene, scuotendo le coscienze, e consumava tutte le sue notti nella carità verso Dio, pregando, contemplando, elevando lodi, magnificando Dio».
Concludo con due esortazioni contenute nella Regola Pastorale, di San Gregorio Magno. Sono esortazioni che valgono per i Vescovi ma anche per i sacerdoti:
«L’agire di un Presule deve trascendere l’agire del popolo di tanto quanto solitamente risulta distante la vita di un pastore da quella del suo gregge».
«Il Presule sia accanto a ciascuno per la compassione, sia sopra a tutti gli altri per la contemplazione».

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