Sportivi d’annata

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– di fr. Francesco Scaramuzzi

Un nuovo anno è iniziato e prendiamo un bel po’ di fiato come degli atleti proiettati alle prossime Olimpiadi, nella speranza di rincorrere il tempo che scorre sempre più velocemente.

 

 

Correre è l’imperativo categorico della nostra epoca perché, come dice l’antico adagio, “chi si ferma è perduto”.

È crisi, infatti, se si fermano i consumi, se l’economia ristagna, se il tasso demografico è a zero, se i redditi sono bassi, se gli investimenti non partono. Certo, a volte è necessario davvero correre, ma questo può significare anche bruciare le tappe, eliminare gli intermezzi, come avviene nella vita di tanti giovani che dall’asilo nido passano alla laurea per la catechesi, per la squadra di calcio, per il gruppo rock senza avere il tempo di fermarsi a riflettere e capire quale sia la direzione giusta.

Nelle battaglie medievali c’era un momento in cui, superati i fanti, gli arcieri e la cavalleria, la mischia si concentrava intorno al re. Lì si decideva l’esito finale dello scontro. Anche oggi i contrasti che ogni giorno siamo chiamati a vivere si risolvono intorno al ‘Re dei re’. Solo che l’obiettivo, che oggi è orizzontalizzato come una pianura da conquistare con le proprie truppe, va piuttosto verticalizzato. San Paolo ha usato, in questo contesto, l’immagine degli atleti impegnati per le olimpiadi: “Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo!… Io dunque corro, ma non come chi è senza mèta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria” (1Cor 9,24-26).

Che cosa, dunque, bisogna fare per essere dei veri cristiani?

San Paolo suggerisce ai Corinzi una sorta di ginnastica cristiana concentrata in tre ‘esercizi’, per usare la similitudine sportiva.

Sappiamo quanto faccia bene l’attività fisica al corpo, vediamo quale può essere la ginnastica che fa bene alla nostra anima.

Il primo esercizio è: correre. Correre verso i bisogni dell’altro. Essere agili nel modo di pensare o di credere, liberandosi da molti pesi inutili. Essere più avanti degli altri nella speranza, nella fiducia in Dio, nell’amore verso chi resta indietro nella corsa. Ma non correre senza una meta, tanto per correre, smarrendo il senso e lo scopo del nostro essere cristiani, muovendoci a zig zag tra un po’ di egoismo e un po’ di altruismo, un po’ di fedeltà e un po’ di tradimento, un po’ di speranza e un po’ di disperazione. Il nostro correre deve essere teso alla vittoria eterna e non ai piccoli e a volte miserabili successi ai quali ci aggrappiamo nella vita.

Il secondo esercizio per poter ben correre è: l’autocontrollo. Una parola che viene dalla filosofia greca, ottimista sulla capacità di una persona di controllare la propria rabbia o il proprio odio. L’autocontrollo del cristiano non significa metterci tanta buona volontà. Ma significa: mettere da parte il proprio io e lasciarsi guidare da Dio. Padronanza di sé significa sottomettere il proprio sé al Cristo della croce.

Ed ecco il terzo esercizio legato ai primi due in modo indissolubile è: l’esempio. Diventare cristiani è semplice, basta aprire la porta al Cristo che bussa. Restare cristiani, testimoniarlo con la propria vita richiede, invece, un bel po’ di esercitazione.

Vivere di fede è un rischio e una scommessa. “Affrontiamo pure le prove presenti – ci dice Padre Pio – ma non ci perdiamo d’animo, non ci scoraggiamo: combattiamo da forti e ne riporteremo il premio che Dio ha serbato alle anime forti” (Ep. III,834).

Altro che il consolante motto “l’importante è partecipare”. Qui l’importante è afferrare il premio, ottenere la corona. “Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede”, si legge nella seconda lettera a Timoteo.

E allora non mi resta che augurarvi: Buono slam a tutti.

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