Una Fraternità perfetta

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– di fr. Francesco Scaramuzzi

È risaputo che il primo santo cappuccino, Felice da Cantalice, ha contribuito a dare un tono particolare di semplicità, di umiltà e di povertà alla santità cappuccina, diventando quasi un modello insostituibile per molti fratelli laici. E nel profilo biografico di fra Crispino da Viterbo rimarrebbe una incolmabile lacuna della sua straordinaria letizia se non si accennasse agli aforismi o esclamazioni in cui egli, da autentico maestro, sapeva condensare il succo delle sue convinzioni più profonde e dei suoi sentimenti.

Poni in Dio la tua speranza, ché ne avrai ogni abbondanza”; “Se vuoi salvarti l’anima, hai da servare le seguenti cose: amar tutti, dir bene di tutti e far bene a tutti”.

Il Poverello d’Assisi insieme a una moltitudine di santi francescani continua a stupire il mondo con l’esempio trasmessoci di una vita tutta dedita alla preghiera e all’ascolto dei fratelli.

I cosiddetti “frati del popolo” certamente affascinano in quanto propongono tuttora una risposta valida e inalterata al bisogno di trascendenza, di soprannaturale, che avverte l’uomo di oggi, attraverso la singolarità di una innegabile fenomenologia mistica, come quella di Padre Pio.

Egli seppe seminare la pace nei cuori attraverso le lunghe ore di preghiera e la celebrazione del sacramento del perdono, nonché per mezzo di varie opere caritative: prima fra tutte la “Casa sollievo della sofferenza”.

Mi piace citare un brano di una sua lettera al padre spirituale che si potrebbe definire l’inno alla gioia di Padre Pio: «La pace è la semplicità dello spirito, la serenità della mente. La tranquillità dell’anima, il vincolo dell’amore. La pace è l’ordine, è l’armonia in tutti noi: ella è un continuo godimento, che nasce dal testimonio della buona coscienza; è l’allegrezza santa di un cuore, in cui vi regna Iddio» (Ep. I, 268, 606).  Questa gioia vera, questa serenità dell’anima, questa concordia universale sembra per molti aspetti in contrasto con le tante preoccupazioni e sofferenze che sovrastano l’esistenza dell’uomo. In tanta parte della terra, c’è violenza, sopraffazione e morte, ma senza andare lontano anche nelle nostre piccole faccende quotidiane siamo assaliti da rabbie, ostinazioni, indifferenze, crudeltà, cattiverie che inquinano i rapporti con il nostro prossimo, ci intristiscono, ci rendono aridi, ci allontanano e ci imprigionano nella nostra malinconica solitudine.

Il cristiano non può esimersi dal cercare la gioia, la pace, la comunione fraterna, ma deve impegnarsi con tutte le sue forze a realizzarla prima dentro di sé, e poi nell’ambiente in cui vive.

Il salmista ci ricorda che “Dio è mirabile nei suoi santi” (Sal 67, 36) e davvero Egli continua a operare cose stupende nei suoi servi buoni e fedeli. E tra questi servi vorrei aggiungervi il nostro fra Modestino da Pietrelcina. Non salirà mai agli onori degli altari, lui che si è sempre considerato “un indegno e povero peccatore”, ma è stato e resterà per tutti un esempio del “frate perfetto”. Riportata così, senza preamboli e premesse, questa categoria sembra non lasciare scampo a debolezze e difetti. «San Francesco, immedesimato in certo modo nei suoi fratelli per l’ardente amore e il fervido zelo che aveva per la loro perfezione, spesso pensava tra sé quelle qualità e virtù di cui doveva essere ornato un autentico frate minore e diceva che sarebbe buon frate minore colui che riunisse in sé la vita e le attitudini dei seguenti frati: la fede di Bernardo, la semplicità e la purità di Leone, la cortesia di Angelo, l’aspetto attraente e il buon senso di Masseo, la mente elevata nella contemplazione che ebbe Egidio, la virtuosa incessante orazione di Rufino, la pazienza di Ginepro, la robustezza fisica e spirituale di Giovanni, la carità di Ruggero…» (FF 1782).

San Francesco evita di fare un elenco anonimo di virtù. Decide di passare in rassegna uomini reali, i volti concreti di quei frati che sono con lui, che ha conosciuto, attraverso i quali il Signore gli ha parlato. Il frate perfetto non esiste ma esiste una “fraternità” all’interno della quale ci sono contraddizioni, incomprensioni ma anche doni e grandi possibilità.

Se allarghiamo lo sguardo su ciò che ciascuno può dare il risultato è sorprendente. Da soli non sarebbe la stessa cosa.

A ciascuno è chiesto di mettersi in gioco, di sporcarsi le mani per quello che è, nella e con la sua fragilità. ‘Nessuno è perfetto ma ognuno è fatto per qualcosa’.

Le nostre caratteristiche messe insieme contribuiscono a costruire l’Umanità.

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