di fr. Vincenzo Gaudio –
La perdita di una persona amata sconvolge la vita; turba il cuore, generando spesso domande struggenti. Ogni ragionamento umano di fronte alla morte è perdente. Mentre la società vuole abituarci a consumare la vita, a spadroneggiare su di essa, a decidere quando e come spegnerla, Gesù ce ne insegna il rispetto dimostrando, con la restituzione della vita all’amico, che la morte non ha più potere sull’uomo. Così è decisivo l’imperativo rivolto a Lazzaro: «Vieni fuori!». Lo stesso imperativo rivolto anche a noi oggi, perché c’è una morte di cui dobbiamo avere più paura ed è il torpore del peccato e di una vita assorbita da una mentalità mondana. «Chi crede in me anche se muore vivrà»; «credi tu questo?», chiede Gesù a Marta. L’interrogativo è rivolto anche a noi. A ciò ha saputo ben rispondere Padre Pio. Il pensiero della morte è stato per lui uno stimolo a migliorarsi giorno per giorno, amando Dio e dedicandosi più intensamente ai fratelli, tramite il suo ministero sacerdotale, come egli stesso confessa, il 20 novembre 1921, a p. Benedetto Nardella: “Sono divorato dall’amore di Dio e dall’amore del prossimo. Dio per me è sempre fisso nella mente e stampato nel cuore” (Ep. I, 1247). Queste due prerogative: amare Dio e il prossimo, lo spingevano a pregare sempre. Pregava con l’amministrazione dei sacramenti; pregava con la recita del breviario, del rosario, pregava con la sua offerta vittimale, specialmente nella messa e nella confessione, con la quale ha attuato la vocazione a corredimere. Lo scopo di questa continua preghiera? Essere sempre in contatto con Dio e offrirsi per il bene spirituale e materiale dei fratelli.
L’amore, dunque, è la ragione suprema di ogni forma di vita e il destino di morte, intrinseco alla condizione della creatura umana, non acquista senso che all’interno di un’esistenza pervasa da un amore incondizionato agli uomini e da una dedizione a Dio senza riserve.
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