La processione dei morti

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– di fr. Francesco Scaramuzzi

Novembre inizia con due celebrazioni importanti, due momenti per riflettere e ricordare.Il primo del mese si festeggiano i Santi. Il giorno successivo è dedicato a chi non c’è più: due giornate ricche di significati religiosi, che si fondono con antichi riti e leggende popolari.

A Pietrelcina c’è un’antica credenza, come in tanti paesi del Sud.

Si narra che la notte del 1 novembre, alla mezzanotte esatta, i morti escano dal cimitero del paese e si rechino in processione nella vicina chiesa. A tale processione i vivi non possono partecipare ma devono illuminare il percorso accendendo dei lumini sui davanzali delle finestre o sui balconi. Guai a parlare e a chiamare i morti, si rischia di perdere la parola o di morire addirittura! I morti chiedono solo preghiere che si recitano nel raccoglimento e nel silenzio. E per un giorno essi ritornano a frequentare le loro case abitate dai parenti, i quali, prima di andare a dormire, lasciano la tavola imbandita perché si crede che essi si siederanno a tavola e mangeranno.

Questa singolare e fantasiosa credenza del cattolicesimo europeo si è trasformata nella consumistica e commerciale festa di Halloween.

Ognissanti e i Morti sono festività straordinarie per i cristiani. A loro va ridato tutto l’antico significato.

Si faccia festa, dunque, in modo positivo e perfino simpatico spiegando soprattutto ai bambini che la morte è un evento naturale, umano, di cui non si debba aver paura.

Questa percezione mesta, a volte tragica, della morte è comune a tutti, credenti e non. Se pensiamo a Gesù, nei vangeli si legge che per ben due volte anche lui pianse per un morto. Ma è proprio Gesù colui che ha vinto la morte. Non evitandola o ricacciandola indietro, come un nemico da sbaragliare. Ma subendola, assaporandone tutta l’amarezza.

Grazie a Cristo, la morte non è più un muro davanti al quale tutto si infrange, ma una breccia, un passaggio, cioè una Pasqua. È una specie di “ponte dei sospiri”, attraverso il quale si entra nella vita vera, quella che non conosce la morte.

Quando nasce un uomo, diceva sant’Agostino, si possono fare tutte le ipotesi: forse sarà bello, sarà brutto; forse sarà ricco, sarà povero; forse vivrà a lungo, forse no. Ma di nessuno si dice: forse morirà. Questa è l’unica cosa assolutamente certa della vita. Non possiamo non porci tutti davanti a questa realtà, così come scrive nella sua bella poesia Cesare Pavese: «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi». Cioè, avrà il tuo nome, il tuo cognome, e si porterà via tutto ciò che hai, quello che hai idolatrato, ciò in cui hai riposto la tua fiducia, la tua ragione di vita.

Non si tratta di un’affermazione bensì di un fatto, senza “se” e senza “ma”: perché ci mette davanti all’eterno e ci pone una domanda alla quale non possiamo sfuggire:

Cosa supera la barriera della morte? Risposta: Solo l’Amore!

Nel duro mondo che abbiamo fabbricato, dobbiamo capire che la persona umana non si riduce a ciò che mostra o produce. Lo sanno bene i Santi che sono tutti quei defunti che hanno vissuto la loro vita con la coscienza chiara della relazione con il nostro Creatore. Uomini, come il nostro Padre Pio, che prendendo sul serio la loro umanità hanno raggiunto, superando la barriera della morte, la visione piena di Dio, il Paradiso. Benedetto XVI mette in guardia soprattutto i giovani ricordando loro che un “mondo senza Dio diventa un inferno” dove prevalgono “egoismi, divisioni nelle famiglie, odio tra le persone e tra i popoli, mancanza di amore, di gioia e di speranza”.

Un mondo che fosse solo il luogo del lavoro, del denaro, dei beni, del possesso, dei titoli, è un mondo invivibile.

La morte mette tutto ciò in chiaro, come ci ricorda il grande comico Totò:

“Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:

nuje simmo serie…appartenimmo à morte!” (‘A livella)

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