Anniversario della prima Messa di Padre Pio Intervista a Sua Eccellenza Accrocca

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di Marianna Morante – In occasione dell’anniversario della prima Messa di Padre Pio a Pietrelcina S. Ecc. Mons. Felice Accrocca, arcivescovo di Benevento, ha presieduto la solenne Eucaristia nella chiesa parrocchiale di “S. Maria degli Angeli” accolto dal parroco fr. Giuseppe D’Onofrio, da tutta la fraternità cappuccina, dalle autorità civili e militari e dai numerosi fedeli.

Chiediamo a Sua Eccellenza l’emozione che ha provato nel presiedere l’Eucaristia sull’altare dove Padre Pio celebrò la sua prima Messa il 14 agosto del 1910?

È certamente un dono per me essere qui, nel luogo dove lui è nato è cresciuto, perché per capire un santo e per entrare nell’humus bisogna penetrare anche nella sua umanità. Allora passare per i vicoli dove lui è vissuto da ragazzo, dove ha giocato, dove sarà anche caduto e si sarà sbucciato qualche piede, dove avrà fatto i giochi che si potevano fare, quale erano quelli di allora, ecco questo aiuta a capire la sua bontà, la sua solidità, anche interiore. In fondo a disegnare quell’uomo, che poi sarà nel futuro Padre Pio, sta scritto qui, nei suoi primi anni di vita.

La prima messa, penso, sia per un sacerdote un momento importantissimo che segna, in qualche modo, l’inizio della sua vita sacramentale. Ricordiamo che mons. Accrocca è stato nominato arcivescovo di Benevento il 18 febbraio e ha ricevuto il pallio il 29 giugno da Papa Francesco. Tra l’altro sottolineiamo un episodio particolare legato alla sua nomina, quando lo stesso Pontefice la cercava tra tutti i vescovi. Come è andata?

Quest’ultimo episodio è successo il giorno dopo la  mia ordinazione episcopale, il 16 maggio alla CEI perché il Papa ricordava all’assemblea che c’era qualche vescovo che era stato ordinato da poco e che si sentiva ancora l’odore del crisma. Pensavo fosse finita lì la sua espressione invece continuò dicendo: “Accrocca dov’è?”, creando in me non poco imbarazzo. Ritornando alla prima Messa, per Padre Pio è certamente un momento importante quando torna qui, torna tra la sua gente, con cui aveva condiviso la sua infanzia. Dopo gli anni della formazione, del noviziato a Morcone, c’è il ritorno alle origini, torna a celebrare Messa tra i suoi, e rimane con la sua gente per alcuni anni. Sento che questi anni sono importanti per tutta questa terra e anche per questa diocesi. Potremmo dire che i miei predecessori lo hanno avuto come sacerdote della diocesi. Anche per me è stato emozionante celebrare qui tra i suoi devoti così numerosi e sentire l’abbraccio che c’è tra questo popolo e il suo santo.

Che cosa rappresenta la prima messa per un sacerdote e tutte le altre messe? Padre Pio era solito dire che “ogni messa era come la prima messa”.

Dovrebbe essere ogni messa come la prima, o meglio, ancora più della prima, perché bisogna entrare progressivamente in quel mistero. Per un sacerdote la prima messa è l’inizio di un cammino nuovo, un cammino di unione ancora più intenso col Signore, perché nella celebrazione piano piano il sacerdote è chiamato a trasformare tutta la sua esistenza in quella di Cristo, a entrare progressivamente in quel mistero. Nella prima c’è l’entusiasmo giovanile, poi nel tempo il sacerdote deve crescere di intensità. Penso che per Padre Pio le ultime messe saranno state ancora più intense delle prime, così come deve essere per ogni sacerdote.

Lei è stato docente di storia medioevale presso la Pontificia Università Gregoriana e ha approfondito gli studi sul francescanesimo. Padre Pio, a volte, è stato considerato un santo medioevale, d’altronde la spiritualità francescana affonda le radici nel medioevo. Come può considerarsi attuale la spiritualità francescana oggi?

La spiritualità francescana ha un’attualità perenne, perché si pone come primo obiettivo quello di vivere il Vangelo, e il Vangelo è perenne, di un’attualità che vale in eterno. Se si vede la regola francescana la prima affermazione che il poverello di Assisi fa è che la vita e la regola dei frati minori è questa: “Osservare il Santo Vangelo”. Anche l’ultima espressione della regola stessa ripete “… perché osserviamo il Vangelo come abbiamo promesso”. Quindi tutta la regola dei frati è permeata alla osservanza del Vangelo­. E questo dà alla spiritualità francescana qualità perenne, perché il Vangelo è perenne.

Lei guiderà un’arcidiocesi che ha donato alla Chiesa molti santi: ricordiamo tra questi il vescovo S. Barbato, che ha diffuso il culto della Madonna della nostra Libera, S. Gennaro, S Giuseppe Moscati, Padre Pio, ecc. Quanto i santi e la loro testimonianza di vita possono aiutare a vivere un cammino di fede e di spiritualità?

Possono molto perché il Signore ci dona i santi come amici e modelli di vita. Sono nostri amici e quindi sono al nostro livello, li sentiamo più vicini, al tempo stesso il Signore ce li dà come modelli perché guardando loro anche noi diventiamo più capaci, più forti, più confortati, più consolidati nel vivere il Vangelo e nel seguire le orme di Gesù. Possano i santi della chiesa beneventana suscitare anche oggi nuove esperienze di santità.

I santi hanno sempre visto la Chiesa come madre. Quanto la Chiesa può attirare anche oggi i suoi figli che spesso si allontanano?

La Chiesa è un’esperienza che il Signore ci ha lasciato perché quando stiamo soli siamo preda di tante paure, e poi siamo più tentati. Il Signore ci ha donato la Chiesa, questa famiglia, questa Madre perché potessimo fare esperienza di fede. S. Cipriano di Cartagine, nel III secolo, affermava: “non può avere Dio come Madre chi non ha la Chiesa come Madre – e ancora – non può avere Dio come Padre chi non ha la Chiesa come Madre”. I santi possano guidarci anche a fare esperienza di Chiesa.

Eccellenza, lei avrà anche il compito di guida per i tanti parroci e sacerdoti che trovandosi a contatto diretto con il popolo dovranno affrontare tante problematiche che assillano il vivere quotidiano, non solo pastorali ma anche sociali e umanitarie. Cosa può dire a questi ‘parroci di frontiera’?

Di essere ministri di misericordia, di attirare più con il miele della comprensione che con l’aceto della condanna. Bisogna essere fedeli alla verità, non si può dire che tutto è giusto, che nessuno sarà condannato, altrimenti cadremmo nel relativismo. Anche la verità può essere detta con dolcezza, con amore. Possa essere modello per ognuno di noi, per ogni sacerdote, un altro santo, un’altra spiritualità, che dimostra ancora una volta quanto è bello il panorama della chiesa: la dolcezza di S. Francesco di Sales. Dobbiamo e possiamo attirare le anime con quella dolcezza che è quella di Gesù. A tale proposito vorrei richiamare anche l’esempio di un altro Cappuccino in odore di santità, più o meno contemporaneo di Padre Pio, padre Mariano da Torino, il grande predicatore. Aveva una dolcezza, una soavità, una forza, vorrei che tutti, dal profondo del cuore, potessero prendere esempio da questo nostro fratello e armonizzassero la loro missione con questa tenerezza, che ricorda la misericordia del Padre.

A proposito di misericordia. Papa Francesco ha fatto questo dono grandissimo di indicare il nostro amato Padre Pio quale apostolo della Misericordia. Il frate di Pietrelcina ha speso tutta la sua vita nel confessionale, proprio nell’esercizio della misericordia. Quanto è difficile oggi avvicinare la gente, soprattutto i giovani, verso il sacramento della Riconciliazione, che, potremmo dire, è il più importante dei sacramenti, che ci consente di sperimentare l’amore misericordioso del Padre.

È tanto difficile. Lo diceva già Pio XII che il grande dramma del momento presente, pur riferito a quel tempo, era che il mondo aveva perduto la coscienza del peccato. Se si perde la coscienza del peccato, della propria fragilità non si sente e non si può godere del sacramento della misericordia. Quando non sono cosciente del mio peccato, neppure mi rendo conto di essere bisognoso di misericordia. Occorre con grande dolcezza, ma anche con grande verità ricostruire questa coscienza: la coscienza della nostra debolezza, la coscienza della nostra mancanza, la coscienza del nostro peccato. Se non sento e non percepisco di essere peccatore e bisognoso di conversione, bisognoso di perdono non vado a confessarmi.

Eccellenza ci può spiegare il significato delle parole che lei ha posto sul suo stemma che, di solito, indica un progetto missionario del vescovo e del suo apostolato.

“Nisi Dominus aedificaverit”: “Se il Signore non costruisce”. Perché non possiamo costruire su noi stessi senza di Lui ma dobbiamo costruire su di Lui. Molte volte noi ci illudiamo che i nostri mezzi, la nostra organizzazione, le nostre capacità possano primeggiare anche dinanzi al messaggio di salvezza e ci sentiamo primi attori e primi operatori della grazia di Dio quasi come la salvezza degli altri dipendesse dalla nostra bravura e dalla nostra abilità. “Se il Signore non costruisce la casa, invano faticano i costruttori”.

Eccellenza, nel ringraziarla per la sua disponibilità e per la sua parola illuminata, l’attendiamo sempre in questi luoghi pregni di santità e di testimonianza di vita di Padre Pio per far ravvivare con la sua presenza e la sua parola quel messaggio di speranza e di carità.

La congediamo chiedendole un ultimo consiglio. Come possiamo adoperarci al meglio per far piacere a Dio, specialmente in questo anno in cui si ricorda la misericordia del suo volto e del suo amore.

Quello che dovremo fare per tutta la vita. Sentirci, intanto, bisognosi di misericordia e, soprattutto, esercitarci nel dare misericordia. Perché se non siamo capaci di perdonare, il Padre eterno non perdona noi. È chiaro, lo dice il Vangelo. Anche nel Padre Nostro diciamo rimetti a noi i nostri debiti come noi, cioè nella stessa misura, li rimettiamo. In questa preghiera che rivolgiamo al Padre, quasi, poniamo noi le condizioni dicendogli: Signore mio se io perdono Tu perdona me, ma se io non perdono non perdonare neppure me. Questo anno della misericordia ci aiuti a crescere nella nostra capacità di perdonare e anche nella onestà di chiedere perdono per le nostre fragilità, per i nostri peccati.

Grazie a monsignor Accrocca e auguriamo un santo e fecondo apostolato in questa Chiesa beneventana.

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